Il Blog di Martino Ragusa

Ricette di cucina, cultura gastronomica e divagazioni


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Zucchine a scapece

zucchine a scapece

Ingredienti per 4 persone

400 g di zucchine
olio extravergine di oliva
aceto
menta
2 spicchi di aglio
peperoncino
sale

Tagliate le zucchine a rondelle sottili e saltatele in padella per 10 minuti con un filo d’olio d’oliva e rigirandole spesso. Salate e unite il peperoncino e uno spicchio di aglio intero scamiciato. Badate che l’aglio non si colori troppo. A fine cottura, aromatizzatele con una spruzzatina di aceto, aglio tritato e foglioline di menta. Servitele fredde.


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Pollo con i peperoni

pollo con i peperoni_05

Ingredienti ingredienti per 4 persone
1 pollo in pezzi di circa 1,2 kg
800 g di peperoni di diverso colore (rosso, verde, giallo)
400 g di pomodorini pizzutelli rossi o di pelati
2 spicchi di aglio interi, schiacciati e scamiciati
1/2 bicchiere di vino bianco secco
4 cucchiai di olio extravergine di oliva
pepe nero di mulinello
sale
Mettete 4 cucchiai di olio di oliva in un tegame di coccio o ghisa oppure a fondo pesante e ricoperto in teflon. Lasciate scaldare l’olio e mettetevi a rosolare i pezzi di pollo a fuoco medio-alto per 10 minuti. Aggiungete quindi gli spicchi di aglio schiacciati e fateli dorare in 5 minuti.
A questo punto salate con moderazione, bagnate con il vino e lasciatelo evaporare (in 5 minuti). Unite i pomodorini freschi tagliati in quarti e privati dei semi oppure i pelati tritati e fate insaporire per 5 minuti sempre a fuoco alto.
Coprite con un bicchiere di acqua calda e fate riprendere il bollore. Quindi abbassate la fiamma, coprite parzialmente e fare cuocere per 15 minuti aggiungendo l’acqua necessaria a mantenere l’umido.
Unite i peperoni, nettati e tagliati a tocchi (quadrati o filetti), il pepe, un altro po’ di sale e portate a cottura in 20 minuti, prima a fiamma alta finché non è ripreso il bollore, poi a fuoco medio-basso.
Aggiustate di sale verso la fine della cottura e lasciate riposare fino a che il pollo non è quasi freddo, poi riscaldate e servite.
Variante: un rametto di maggiorana aggiunto durante l’ultimo minuto di cottura.

Post Ricetta: Un classico della cucina romana “de core”.


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Ovis mollis

 

ovis_mollis

Ingredienti per 8 persone

Per la pasta frolla:
200 g di farina 00
100 g di fecola di patate
200 g di burro
100 g di zucchero a velo, più lo zucchero a velo necessario a spolverare i biscotti pronti
5 uova
100 g di mandorle sgusciate
1 bustina di vanillina
1 pizzico di sale
Lessate le uova avendo cura di cuocerle bene in modo che i tuorli risultino ben sodi. Scartate le chiare (potrete usarle per dare corpo a una salsa verde), tenete i tuorli e lasciateli raffreddare.
Sbollentate le mandorle in acqua bollente, lasciatele intiepidire e pelatele, poi fatele asciugare nella placca del forno per un paio di minuti perché si secchino ma senza lasciare che prendano colore. Fatele raffreddare (questa fase è importante) e poi tritatele nel frullatore che dovrete azionare a brevi intervalli, in modo da ottenere un trito a grani grossolani grandi più o meno quanto un chicco di riso.
Tagliate il burro a dadini e poi ammorbiditelo con la punta delle dita assieme allo zucchero a velo (oppure “Zefiro” di alta qualità o zucchero normale frullato). Volendo, potete usare una forchetta. Unite i rossi d’uovo tritati, il pizzico di sale e impastate bene.
Riunite farina, fecola e vanillina e passatele al setaccio facendole piovere sull’impasto di zucchero, burro e uova. Aggiungete le mandorle tritate e impastate velocemente. Modellate l’impasto a forma di palla, copritelo con la stagnola e lasciatelo riposare in frigo per due ore.
Infarinate la spianatoia e stendete l’impasto con il mattarello a uno spessore di 3-4 millimetri. Ritagliate i frollini nella forma che preferite, con un coltello o con uno stampo da biscotti. Sistemateli sulla placca da forno ricoperta di carta da forno e infornate a 185 gradi in forno preriscaldato per 5-6 minuti. Sfornateli, lasciateli raffreddare e spolverateli di zucchero a velo.


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La cottura alla brace. Cosa succede alle proteine mentre arrostiamo le carni?

bistecca filetto

 

di Gianluigi Storto

Quello che fa il calore alle proteine della carne è davvero –dal punto di vista della proteina- spaventoso! Ma per capirlo meglio dovremmo prima dare uno sguardo a cosa sono le proteine.
Le proteine (il cui nome deriva dal greco protos = primo, a indicare che le proteine sono fra i costituenti primari, i sovrani dell’alimentazione) sono simili a delle costruzioni per bambini, quelle che si fanno attaccando fra loro mattoncini tutti uguali o quasi. Quasi perché ci sono quelli rossi ma anche quelli bianchi e quelli un po’ più grandi o un po’ più piccoli. Dopo di che i ragazzini, attaccandoli fra di loro, riescono a formare costruzioni molto diverse fra loro: case, garage ma anche automobiline, carri, addirittura animali e personaggi dei fumetti. Con le proteine è praticamente lo stesso: i mattoncini di base si chiamano aminoacidi e ce ne sono venti (più un paio molto rari che in genere non si incontrano da nessuna parte, a meno che non frequentiate archeobatteri).

Gli aminoacidi, come dice il loro nome, sono fatti come minimo da un paio di “gruppi” chimici: le ammine e gli acidi (carbossilici) più, in mezzo a loro, un altro po’ di roba, in genere catene più o meno lunghe e più o meno ramificate fatte in genere –ma non solo- da atomi di carbonio, idrogeno ed ossigeno. Il bello di tutta la faccenda, quello che rende gli aminoacidi interessanti come mattoncini da costruzione, è che l’ammina di un aminoacido si lega benissimo all’acido di un altro aminoacido in modo che gli aminoacidi possono legarsi fra di loro in catene lunghe a piacere e in combinazioni praticamente infinite, a secondo di quale aminoacido (fra la ventina disponibile) andate a prendere. Le proteine sono le catene formate attaccando fra di loro vari aminoacidi. Catene lunghette, in verità, visto che in genere una proteina contiene qualcosa come migliaia di atomi. E siccome gli scienziati sono un po’ noiosetti, hanno differenziato catene corte di aminoacidi, fino a circa una decina e le hanno chiamate “oligopeptidi”, catene più lunghe ma non troppo e le hanno definite “polipeptidi” e catene con centinaia di aminoacidi che hanno il nome di proteine vere e proprie.

Le proteine, catene formate da moltissimi aminoacidi, sono dunque dei veri e propri “filamenti” chimici, come tutti i fili in natura, tendono ad attorcigliarsi (chi almeno una volta nella sua vita è andato a pesca sa di cosa parlo!. E così alla cosiddetta struttura primaria delle proteine, quella data dalla successione degli aminoacidi lungo il “filamento”, segue una struttura secondaria (la struttura data da un primo attorcigliamento), poi una struttura terziaria, causata da un successivo attorcigliamento del filamento già attorcigliato su se stesso (ricordatevi sempre il filo da pesca!) e addirittura una struttura quaternaria, data dal quarto attorcigliamento della proteina su se stessa, in forme tuttavia mai casuali ma estremamente ordinate (a questo punto un pescatore sa che non c’è più niente da fare e butta via tutto. Vedremo che la “cottura” è proprio il trucco per sciogliere tutti questi nodi complicati…).

Ecco: le proteine sono cose fatte più o meno in questo modo, almeno finché si trovano nel loro ambiente naturale, ovvero un corpo vivo. Ma quando le mettiamo vicino a una fonte di calore forte, appunto la nostra carbonella accesa, che succede a quell’intreccio ordinatamente aggrovigliato di aminoacidi che abbiamo definito una proteina?

Il calore distrugge le forme di aggrovigliamento delle proteine, disfacendo le strutture e arrivando a spezzare in più parti il filamento primario dato dalla successione dei mattoncini – aminoacidi. A questo punto la proteina è “denaturata” come dicono i chimici. È quello che si vede benissimo a occhio nudo quando, per esempio, si mette in padella il bianco dell’uovo, che è formato in soprattutto dall’albume, una proteina che serve come primo alimento per i pulcini. Al calore l’albume cambia completamente aspetto e da liquido trasparente e appiccicoso si trasforma in una massa morbida ma compatta, opaca e bianca. Il fenomeno è causato dalla perdita dell’ordine proteico, dallo storcigliamento delle varie strutture e infine dalla rottura della catena proteica, con la “liberazione” di un insieme di politeptidi (ovvero catene più corte di quelle di una vera proteina) o addirittura di singoli aminoacidi. L’odore di zolfo che a volte si sente cucinando un uovo (oppure che proviene da un uovo andato a male, nel quale la rottura proteica è stata causata dall’invecchiamento naturale) deriva dalla liberazione dell’acido solfidrico, una molecolina che contiene zolfo. E l’acido solfidrico deriva dalla distruzione di un aminoacido presente nell’albume, la cisteina.

Lo spezzettamento e la rottura delle strutture più aggrovigliate delle proteine in realtà è un grosso vantaggio perché permette di assorbire i singoli aminoacidi. Perché l’alimentazione in fondo è proprio quello: noi siamo fatti da proteine ma diverse da quelle che mangiamo. E come facciamo a trasformare la carne di un pollo nella “nostra” carne (visto che in genere siamo un po’ diversi dai polli?). Semplicemente distruggiamo le catene proteiche della carne del pollo arrivando fino agli aminoacidi componenti, che abbiamo detto sono appena una ventina. Dopo di che, secondo regole di ricombinazione dettate dai nostri cromosomi, le riassembliamo in altre proteine, quelle che più ci servono! Ecco perché i polli, almeno quelli più fortunati, che mangiano i vermi, non sanno di… verme e noi non sappiamo di pollo!

Quindi il lavoro del calore, della cottura, è un grosso aiuto alla digestione e all’assorbimento degli aminoacidi. Accelera di un bel po’ il processo di rottura e ricombinazione necessari, che è alla base dell’assorbimento proteico. La cottura degli alimenti ricchi di proteine, come la carne, consiste per una buona parte proprio in questo processo di aiuto nella distruzione delle proteine degli aminoacidi componenti, distruzione che viene poi completata nello stomaco e nell’intestino ad opera di una serie di succhi ricchi di enzimi e altre diavolerie fatte apposta per spezzettare le proteine in olipopeptidi e questi negli aminoacidi di basee. Poi a ricombinare gli aminoacidi nelle proteine che servono, ci pensano le singole cellule dell’organismo che vengono rifornite dal flusso sanguigno di questi aminoacidi “liberi”.

Ovviamente, come in qualunque reazione chimica a caldo (o in qualunque ricetta culinaria, e con il tempo vedremo che spesso sono soltanto due modi diversi di chiamare la stessa cosa), esiste un “optimum” di temperatura -e altre condizioni- che non vanno superate. Con poco calore semplicemente la reazione di rottura delle strutture proteiche non parte ma con troppo calore il processo arriva fino a distruggere anche gli aminoacidi (e si arriva al famoso carbone nero del barbuecuista inesperto!). Quindi vanno regolate con grande attenzione temperatura e tempi di trattamento (come in qualunque reazione chimica o ricetta culinaria) in modo che lo spezzettamento proteico avvenga nel migliore dei modi.

 


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Ceviche di sgombro

ceviche de pescado sgombri

Ingredienti ingredienti per 4 persone

600 g di sgombro pulito in filetti (peso netto)
2-3 limoni
1 cipolla rossa di Tropea
1 spicchio di aglio
1 peperoncino
2 limes
1 avocado
Circa 25 tortilla chips
Prezzemolo
sale
Gli sgombri vanno sanificati tenendoli in freezer per 96 ore a – 19 gradi.
Lavate i  filetti di sgombro e tagliateli a losanghe. Salatelo e conditelo con il peperoncino macinato e l’aglio tritato. Mettetelo a marinare nel succo di limone. Il pesce deve essere coperto, se due limoni non fossero sufficienti aggiungerne un terzo.
Tenete in frigo per almeno mezz’ora, un’ora al massimo a seconda del grado di “cottura” che si desidera a opera del limone.
Nel frattempo tagliate a fette sottilissime la cipolla. Estraete dal frigo il pesce dieci minuti prima di portarlo in tavola e ricopritelo con la cipolla e il prezzemolo. Disponete il ceviche sul piatto, guarnite, a scelta, con fettine di avocado,mais tostato, fettine di lime e tortilla chips.

Post Ricetta: fusion italo-peruviana

 


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Rigatoni alla gricia

rigatoni_gricia-1

Ingredienti per 4 persone

320 g di rigatoni
200 g di guanciale stagionato
1 spicchio di aglio
3 cucchiai di vino bianco secco
2 cucchiai di pecorino romano grattugiato
1 peperoncino
4 cucchiai di olio extravergine di oliva
sale per la pasta

Tagliate il guanciale a dadi di 1 cm di lato, fatelo dorare in 1 cucchiaio di olio e tenetelo da parte. Schiacciate lo spicchio di aglio e fatelo appassire, ancora incamiciato, in 2 cucchiai di olio assieme al peperoncino tritato.
Prima che prenda colore, aggiungete 3 cucchiai di vino bianco secco. Fate evaporare completamente il vino, rimuovete l’aglio e riunite il guanciale. Versate la salsa calda sui rigatoni appena scolati assieme a 2 cucchiai di pecorino romano grattugiato, un po’ di acqua di cottura della pasta e 1 cucchiaio di olio. Mescolate mantecando e servite con pecorino romano.

Post Ricetta

E’ l’antenata dell’amatriciana precedente alla pomodorizzazione della cucina. Una versione più purista non prevede aglio nè vino. Il peperoncino può essere sostituito dal pepe.

 


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Piadina

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Per 4 persone

Piadine da 25 cm di diametro.

500 g di farina 00
100 g di strutto
200 ml di acqua minerale gassata calda
2 g di bicarbonato
sale

Versate la farina sulla spianatoia e fate la fontana. Nel cratere mettete lo strutto, il bicarbonato, e il sale. Versate un po’ di acqua tiepida e cominciate a impastare. Continuate a incorporare l’acqua e a impastare fino a ottenere un impasto piuttosto sodo che continuerete a lavorare per almeno 5 minuti. Infarinate una ciotola e metteteci a riposare l’impasto coperto da un panno per 30 minuti. Dividete l’impasto in quattro parti uguali da ciascuna delle parti formerete una palla. Stendete ciascuna palla con un matterello infarinato e formate un disco spesso circa 4 millimetri e di 25 cm di diametro. Tranne che non abbiate il testo di ghisa o di terracotta, cuocete le piadine una alla volta sulla piastra o in una padella antiaderente. Devono cuocere 1,5 / 2 minuti per parte.
Farcite la piadina ancora calda con prosciutto o altri salumi a piacere oppure con stracchino ed erbette selvatiche (o bietoline) saltate.


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Panelle

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Ingredienti per 4 persone

Per le panelle
200 g di farina di ceci
1/2 litro d’acqua fredda
Prezzemolo
Fate sciogliere la farina di ceci nell’acqua fredda dentro a un tegame.Aggiungete il sale e cominciate la cottura su fuoco basso e mescolando continuamente fino a ottenere una polenta solida.
Versate la polenta bollente nelle apposite forme di legno. Se non le avete, versatela dentro una teglia da forno quadrata a bordi piuttosto alti e umida o dentro a stampi da plum-cake. Spianate bene e fate raffreddare.
Quando la pasta di panelle è ben fredda mettetela in frigo per un’ora. Ritiratela dal frigo e rivoltatela su un tagliere. Se l’avete fatta raffreddare bene rimarrà compatta. Se avrete usato la teglia, tagliate la pasta a strisce di circa 10 cm. Se avrete usato lo stampo da plum-cake otterrete già parallelepipedi di circa 10 cm di lato.
Tagliate ogni parallelepipedo a rettangoli di 3-4 mm di spessore, poi dividete ciascun rettangolo in due triangoli. Friggete le panelle all’onda in abbondante olio di oliva ben caldo. Quando sono dorate pescatele con una ramina ragno e mettetele a scolare dentro a uno scolapasta.


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Perché dovrei mangiare pasta di zucchero e coloranti?

 

macchina fotogafoca

La moda dei design-cake sta rovinando la gloriosa arte italiana della pasticceria. Torte a forma di tutto, grazie all’immangiabile ma ben modellabile pasta di zucchero, i coloranti artificiali di tutte le tonalità e un preciso progetto scenografico. E chi se ne frega di quello che c’è dentro!
È una vera sconfitta per la nostra raffinata sapienza pasticciera e una regressione di secoli ai banchetti nobiliari rinascimentali e barocchi, quando contava esclusivamente l’apparenza delle pietanze, sontuose ma spesso ai limiti della mangiabilità. Che tutto questo abbia a che fare con il culto dell’apparenza?

design_cake


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Spaghetti alla chiummenzana

chiummenzana

Ingredienti per 4 persone

350 g di spaghetti
600 g pomodorini rossi ben maturi o pomodori San Marzano
10 foglie di basilico
1 spicchio di aglio
5 cucchiai di olio extravergine di oliva
peperoncino
sale

Tuffate i pomodori per soli 2 minuti acqua bollente. Trasferiteli in acqua fredda, pelateli, privateli dei semi e tagliateli a tocchi grossolani. Scaldate in una casseruola 4 cucchiai di olio e fatevi sfrigolare lo spicchio di aglio lasciando che imbiondisca appena, ma stando attenti che non scurisca nel modo più assoluto. Quando l’aglio ha appena dorato, versate la polpa dei pomodori, il peperoncino, salate, pepate e fate cuocere a fuoco allegro per 10 minuti aggiungendo l’acqua che occorre. Verso fine cottura, aggiustate di sale, e rimuovete lo spicchio di aglio.Condite gli spaghetti con questa salsa aggiungendo le foglie di basilico spezzettato con le mani e un cucchiaio di olio a filo.

Post Ricetta: è un classico della cucina caprese. O meglio, è la versione caprese degli spaghetti al pomodoro, ubiquitari di tutto il sud Italia con leggere varianti.